Articolo a cura di Adriano Vecchiarelli
Vini naturali si, vini naturali no?
Suona talmente bene l’accoppiata delle parole “vino” e “naturale” che in prima battuta i sostenitori partono sicuramente avvantaggiati, a maggior ragione in questo momento di grande interesse per i vini naturali.
In effetti, alcuni vini naturali sono tra le più intense e fedeli fotografie possibili del proprio territorio, vigneto, parcella, come del succedersi delle stagioni e dei climi nell’annata trascorsa: in una parola, rappresentano al massimo livello il terroir di provenienza. Il lavoro di cantina segue la stessa impostazione, e in assenza di definizioni normative del vino naturale, si può dire che i produttori camminino liberi in un solco tuttavia angusto. In linea generale, non utilizzano alcuna delle sostanze ammesse in vinificazione dalle altre metodologie (a parte bassissimi quantitativi di anidride solforosa) e non fanno ricorso ai comuni procedimenti chimico-fisici di cantina per il trattamento dei mosti e dei vini (ammessi per il vino biologico, e alcuni anche per il biodinamico). L’impossibilità di fare ricorso a elementi e prodotti di sintesi o pratiche invasive, se da un lato mantiene l’integrità del vino, privandolo di – o liberandolo da – qualsiasi omologazione e tipicità nota, dall’altro ne rende più complessa la collocazione. Ad esempio, saltano gli schemi noti di abbinamento cibo-vino: perché nel bicchiere capita spesso di trovare qualcosa di completamente inatteso. L’abbinamento può diventare allora cibo-parcella, cibo-annata, cibo-cantina, cibo-bottiglia. Divertente, interessante, per certi aspetti un po’ stressante. Mi pare pertanto che qualcosa si perda e qualcosa si guadagni: perdiamo ad esempio il conforto di aprire una bottiglia del dato vino immaginando con buona approssimazione cosa ci sarà dentro, e acquisiamo la possibilità di fare un viaggio in una micro-realtà territoriale, di cantina, filosofica. Mi pare che ne valga la pena. Quindi direi che i vini naturali vadano bevuti senza pregiudizi. Il punto cruciale, a mio parere, è nell’assenza di difetti del vino. L’effetto “vino del contadino” è dietro l’angolo, e mi pare da rifuggire.
Ben vengano vini biologici, biodinamici e naturali: ma innanzi tutto i vini che non presentano difetti evidenti. Quel che è capitato all’enologia negli ultimi cinquanta anni, di evolversi quanto mai prima, forse perfino troppo, in una certa misura me lo terrei stretto. Mi è capitato di assaggiare vini naturali che rammentavano immediatamente – all’olfatto, allo sguardo, al palato – il vino del contadino di Lanuvio che mi accadeva a volte di bere trent’anni fa, e in quel preciso istante ho capito quanto non ne sentivo la mancanza.
Vini sinceri, naturali, voci uniche, tutto benvenuto; ma non dimentichiamoci la creanza, anche in cantina: questo lo spirito che mi accompagna dai “Vignaioli Naturali a Roma”, decima edizione dell’evento organizzato da Tiziana Gallo, importatrice, venditrice e soprattutto “intermediaria” tra grande pubblico e oltre cento produttori di vini naturali da Italia e Francia.
Il biglietto di entrata è di venticinque Euro.
L’evento si svolge all’Hotel Excelsior, in tre sale, gli spazi sono adeguati, il luogo non è ameno ma lussuoso e centrale. La parte food è modesta, con quattro banchetti di salumi a pagamento, e si sente la mancanza di qualcosa da sgranocchiare tra un assaggio e l’altro, anche solo dei pezzetti di pizza bianca. Poche le divagazioni – il produttore di una macchina per congelare i bicchieri, il banco delle birre, e poco altro – in un evento il cui cuore è chiaramente il vino.
Abbiamo iniziato dai vini di Franco Terpin, vignaiolo in San Floriano del Collio, Friuli Venezia Giulia, a due passi dal confine con la Slovenia, assaggiando tutta la gamma presente, e lasciando il cuore su un pinot grigio in cui nulla era dove ci si sarebbe attesi.
Siamo poi passati all’assaggio dei vini di Sybil Baldassarri – “vigneron dissidente” – e del suo compagno, l’una dedita ai bianchi, l’altro ai rossi. Anche qui, tutta la gamma assaggiata, piena di sorprese, e piacevolissimo l’incontro.
Poi Clos Fantine, il più notevole tra i francesi presenti, tutta la gamma assaggiata ma colpiti dal Faugères (gradazione 14%), un blend di Mourvedre (40%), Carignan (25%), Syrah (10%), Grenache (25%).
Abbiamo cercato di fare un assaggio quanto più possibilmente completo dei vini del Piemonte, per passione e per la curiosità intorno al passaggio al vino naturale di produttori anche storici, come i Fratelli Serio & Battista Borgogno, qui piacevolmente rappresentati da Federica Boffa-Borgogno, quinta generazione, appassionata e generosa dei suoi vini, tra i quali la nostra segnalazione va al Barolo Cannubi; da Rinaldi, abbiamo provato tutta la gamma, dal ruché al dolcetto al barbera al barolo, con menzione al dolcetto; da Baricchi, il barbaresco 2012 e soprattutto il notevole 2001; poi i baroli di Fenocchio, con menzione all’atipico, equilibrato, signorile Villero.
Per chiudere col Piemonte, abbiamo visitato il banchetto di Antoniotti, presente il sig. Odilio, sesta di sette generazioni di viticoltori, pronto a cantare la sua campagna e le sue vigne, tutte diverse perché quella esposta a sud e quell’altra a sud est, a pochi palmi di distanza in linea d’aria ma uniche, col suo Bramaterra, un cru composto dal 70% di nebbiolo, 20% croatina, 7% vespolina e 3% uva rara, affinato in botti di rovere per un minimo di tre anni, di bel colore rubino, dai profumi di fragola, di spezia e viola, e dalla piacevole mineralità.
Poi Occhipinti, tutta la gamma, con menzione per l’aleatico rosso Alea Viva e per Andrea personalmente, giovane saggio, pacato e determinato.
Empatia anche con Mattia Calcabrina della Fattoria Calcabrina di Montefalco, col suo buon sagrantino interessante ed equilibrato, con il quale condividiamo – tra le altre – l’idea che il vino biodinamico dovrebbe essere esente da difetti.
A chiudere in assurdità, l’assaggio di un Vouvray Cuvée Tradition 1998, pazzesco, con note di frutti maturi tagliate da una freschezza quasi balsamica, in una rotondità che parrebbe orientale.
È ancora tempo di pionieri, nel mondo del vino naturale. Dalla loro esperienze sarà estrapolata la normativa, che terrà lontani alcuni mali e altri ne farà saltare fuori.
Se questi produttori di vini naturali sapranno vincere anche la sfida dei prezzi – mediamente corretti – e lasciarsi conoscere e bere, non smetteranno mai d’interessare, anche perché – visti i volumi mediamente esigui della produzione – sono e rimarranno esclusivi in termini. Sul mio personalissimo cartellino, in conclusione, le esperienze coi vini naturali sono in costante miglioramento e celano grandi promesse.
Adriano Vecchiarelli
Adriano Vecchiarelli, avvocato del foro di Roma, editorialista su L’Indro, autore di articoli pubblicati su testate nazionali (Corriere della Sera), su vari giornali locali (Parioli Pocket, Vigna Clara Poket) e scolastici (Passaparola), di pubblicazioni giuridiche (International Bar Association SIRC Newsletter, IL SOLE 24 ORE – Studio Pirola, Libro sulla vita delle società), blogger di lungo corso (ultimo blog curato www.arturosbabylon.splinder.com), ha frequentato il Corso Rai Script di scrittura creativa nel 2001-2002 e il Ventiduesimo Corso di Editoria Marcos Y Marcos nel 2010. È d’altra parte l’ultimo – finora – di quattro generazioni accertate di gourmand, sommelier, “membro sapiente” di Slow Food, gastrosofo, collezionista e studioso di libri di cucina. Esseri umani a parte, la cucina e la scrittura sono le sue più impellenti passioni.
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