Articolo a cura di Gianni Cardillo
Un amico, che si sta avvicinando con curiosità al bere consapevole, mi ha chiesto cosa sia un vino naturale. Discorso complesso. “Il vino deve essere figlio di una natura per quanto possibile incontaminata, generato senza interferenze, aiutato a crescere e non costruito artificialmente” (Sandro Sangiorgi, L’invenzione della gioia). Per essere più chiaro, ho preferito spiegarglielo usando le direttive a cui i produttori che partecipano al V.A.N. aderiscono, autocertificando la loro maniera di produrre.
- Si tratta di un vino integro e vitale perché è ottenuto da uve da agricoltura biologica o biodinamica.
- È un prodotto agricolo ottenuto dal vignaiolo che ne segue direttamente tutte le fasi produttive, dalla coltivazione della vite all’imbottigliamento;
- È ottenuto solo da uve proprie, coltivate direttamente, o, se acquistate, provenienti da vigneti di produttori biologici o biodinamici dello stesso territorio (non più del 30% del totale);
- È ottenuto da fermentazioni spontanee, senza l’utilizzo di lieviti o batteri selezionati fabbricati in laboratorio;
- È ottenuto senza l’aggiunta di nessuno degli additivi o coadiuvantienologici ammessi dal disciplinare convenzionale e anche da quello del vino biologico e biodinamico, in vinificazione, maturazione e affinamento;
- È esente da manipolazioni e trattamenti fisici o chimici invasivi ammessi dai disciplinari del vino convenzionale o biologico.
- Ha un contenuto in solforosa totale di massimo 40 mg/l per tutti i vini, indipendentemente dal tenore di zuccheri residui.
Ma un vino è materia viva, perciò ho proposto al mio amico un’esperienza sensoriale piuttosto che intellettuale. E l’ho portato con me al V.A.N.
Giunto alla sua decima edizione, il V.A.N. è ormai un appuntamento fisso. Due volte all’anno (autunno e primavera) regala, ad appassionati e professionisti del vino naturale, la rassicurante certezza che si prova nelle città di provincia dove la vita ha un ritmo più umano. Quando il pomeriggio, verso il tramonto, decidi di fare un salto in piazzetta, sai che incontrerai un amico o un conoscente con cui scambiare due chiacchiere. Questo ti fa sentire parte di un tutto. Ecco, a me il V.A.N. dà questa rassicurante e calda sensazione. Vado, e so che potrò scambiare impressioni, sensazioni, emozioni con qualcuno che forse non mi conosce ma è predisposto al sorriso, all’apertura, all’accoglienza, al confronto. E non parlo solo dei fruitori, ma anche e soprattutto dei produttori, che in questo caso il vino lo fanno con le proprie mani e il proprio sudore. Non c’è un solo produttore che si risparmi nel racconto del lavoro che svolge, della passione che ci mette, del vino che aveva in mente e che è convinto (o spera) di aver ottenuto. Tale è la loro generosità narrativa, da farmi sorgere il dubbio che la mia opinione sul vino che assaggio possa essere condizionata dalla passione che il produttore mi trasmette.
Ma poi basta portare il bicchiere al naso, e alla bocca successivamente, ed ecco che la mia soggettività prende il sopravvento. Degusto senza pensare e mi lascio andare alla mia capacità di percepire quel che sento, e non quello che mi viene chiesto di riconoscere. Ecco che tra me e il vino nasce una relazione sensoriale, capace di produrre o evocare emozioni.
Certo, il contesto di degustazione fieristico, con il gioioso caos che vi regna, non favorisce quel tempo di attesa di cui il vino ha bisogno per far emergere tutta la propria complessità. Il vino richiede a chi lo degusta pazienza e accoglienza, oltre alla partecipazione. A volte, anche complicità. Perciò ci vuole tempo, e il tempo in contesti simili manca, o viene comunque fagocitato dalla frenesia degli altri assaggi. “Quando abbiamo la possibilità di concentrarci, la degustazione diventa anche un’esplorazione della nostra intimità verso la comprensione di noi stessi” (Sandro Sangiorgi, L’invenzione della gioia). E, aggiungerei, verso la riscoperta dei nostri sensi assopiti da sapori e profumi industriali, costruiti a tavolino e standardizzati.
Ecco, a volte i vini naturali possono essere imperfetti, magari possono essere presentati troppo precocemente al pubblico, appena imbottigliati e senza aver ancora raggiunto un livello di bevibilità adeguato, ma di certo non sono mai standardizzati.
Ognuno dei vini assaggiati al V.A.N. permette di vivere un’esperienza, mai banale, mai scontata.
Molti dei produttori presenti sarebbero degni di menzione. Mi limito a segnalare quelli che hanno confermato la qualità del loro prodotto, quelli che non conoscevo e mi hanno stupito, quelli che più mi hanno emozionato o incuriosito.
Etnella
Dal 2010, anno di inizio attività, Davide Bentivegna ha raggiunto uno standard qualitativo alto e costante. I suoi vini sono frutto di una tradizione vinicola capace di preservare i valori del passato ed esprimere la ricchezza della biodiversità nei 19 ettari sparsi sul versante nord/est dell’Etna (tra Presa, Linguaglossa, Passopisciaro e Randazzo). Le parcelle di terreno si differenziano per le peculiari stratificazioni laviche, l’esposizione e l’altitudine, che va dai 600 ai 1000 metri. Tutti i suoi vini sono eleganti ed evocativi, degni di nota. Ne menziono due a titolo esemplificativo.
– Kaos 2016
Nerello Mascalese 85%, Nerello Cappuccio 15%. Da viti ad alberello che raggiungono i 120 anni, e si trovano su terreno vulcanico nella zona di Passopisciaro a 750 metri slm. La vinificazione è frutto di un’attenzione maniacale riguardo i tempi di maturazione delle uve. La vendemmia avviene infatti in momenti differenti, e la macerazione differisce di conseguenza. L’assemblaggio viene fatto solo alla fine, con affinamento in botti di castagno per 12 mesi.
Rosso intenso. Sentori di frutti rossi maturi, sentori floreali e vegetali con accenni minerali. Un vino che esprime la potenza del vulcano, con una buona freschezza.
– Notti stellate 2016
Nerello Mascalese 85%, Nerello Cappuccio 13%, altre 2%. Viti ad alberello centenarie a piede franco, su terreno vulcanico a circa 700 metri slm. Colore rosso rubino intenso. Naso cupo e ricco, che spazia da frutti di bosco a scorza di agrumi, carruba, cuoio, cioccolato, erbe mediterranee. Il gusto è complesso, ricco, articolato, molto fresco e minerale, con un tannino elegante e vellutato unito a una grande forza espressiva. Matura per 10 mesi in botti di castagno, e ha un ottimo potenziale d’invecchiamento.
Bruno Ferrara Sardo
Nel 1993 Bruno Ferrara Sardo inizia a coltivare un piccolo vigneto ereditato dal nonno. Nel corso degli anni ha aggiunto altre parcelle fino a raggiungere i 2 ettari, che si trovano vicino Randazzo, sul versante settentrionale dell’Etna, a circa 700 metri slm. Il terreno è di origine vulcanica, con substrato lavico. Il vino che ne nasce, esclusivamente da nerello mascalese, è un Etna DOC molto elegante, avvolgente e potente.
– Nzemmula 2016
Rosso rubino intenso, quasi purpureo. Ci sono note iodate presenti ma non dominanti, accompagnate da frutta rossa, prugna, liquirizia, spezie. Caldo, morbido, con la mineralità tipica del terreno vulcanico, una freschezza bilanciata da tannini eleganti, strutturato, persistente. Si evince un’ottima capacità evolutiva, come del resto dimostrato da alcune annate precedenti in degustazione (2012, 2014, 2015).
Tenuta del Conte
Mariangela Parrilla ha preso le redini dell’azienda di famiglia, iniziando a vinificare in proprio nel 2004. Si è inserita nel movimento Cirò Revolution (‘A Vita, Calabretta, Arcuri…) che ha segnato uno spartiacque nella Cirò enologica degli ultimi anni. È riuscita a dare una forte impronta personale al suo vino, che è emozionale e pienamente capace di restituire il territorio.
L’azienda (15 ettari di vigneto e 2 di uliveto) coltiva solo vitigni autoctoni: gaglioppo e greco bianco.
– Cirò Bianco diversamente 2015
100% Greco Bianco. Il vigneto si trova a 100 mt slm, su terreni di argille bianche miste a sabbia. Effettua macerazione sulle bucce per 48 ore, poi matura 24 mesi in acciaio e 6 mesi in bottiglia. Questo per smentire lo stereotipo dei bianchi di Cirò leggeri e poco longevi. Il risultato è un vino di gran carattere, che non lascia indifferenti. Color miele brillante. Naso intenso, sentori floreali (sambuco, ginestra, camomilla), agrumi, erbe aromatiche, pepe bianco, miele, macchia mediterranea, frutta gialla matura. In bocca è piacevolmente fresco, sinuoso, elegante, e con un lungo finale sapido.
– Cirò riserva dalla terra 2013
100% Gaglioppo. Prodotto da un vigneto a 50 mt slm, matura 18 mesi in acciaio e 36 mesi in bottiglia. L’anno scorso avevo avuto un incontro/scontro con l’irruenza del suo tannino, ma il tempo lo ha domato e oggi posso dire che in questo vino c’è tutta la potenza del gaglioppo, con un tocco femminile che ha aggiunto eleganza. Intensità aromatica, composta di frutti rossi (ciliegie in particolare) ben presente insieme a liquirizia, note balsamiche, spezie, sentori ematici.
Il Poggio
Il Poggio è una piccola realtà vinicola del piacentino, gestita da Andrea Cervini, che nel 2006 ha costruito la cantina e piantato nuovi vigneti. Oggi vengono coltivati circa 4 ettari, suddivisi in Malvasia Aromatica di Candia, Barbera e Bonarda. I suoi vini, tutti interessanti, hanno un’elegante rusticità che non si dimentica.
– Bianco del Poggio
Malvasia di Candia in purezza. Macerazione sulle bucce di circa 3 mesi, affinamento di 12 mesi in botti grandi di legno e altri 12 mesi in bottiglia. Colore ambrato. Profumo complesso e suggestivo di scorze d’arancia, cedro candito, albicocca, noce, karkadè, fieno. L’assaggio spiazza per potenza, densità, sapidità, una freschezza coniugata a una tannicità austera ma morbida, e una bella persistenza.
Palazzo Tronconi
Marco Marrocco crea l’azienda nel 2010, piantando varietà autoctone perdute come il maturano, il pampanaro e il capolongo a bacca bianca e il lecinaro a bacca rossa. Il vigneto si trova nella Valle del Liri, confinante a nord con il Parco Nazionale d’Abruzzo e a sud coi monti Ausoni e Aurunci. Segue fin dall’impianto i dettami dell’antroposofia Steineriana, coltivando quindi in biodinamica. Nonostante la giovane vita dell’azienda, notevoli sono il livello qualitativo raggiunto e la sua costanza. Tutti i loro vini sono molto interessanti.
– Zitore 2016
Dedicato al nonno di Marco, è un Lecinaro in purezza. Affina 8 mesi in barrique esauste di rovere francese. Ha un colore rubino, e profumo intenso con note fruttate di prugne secche, speziate di pepe e sentori di cioccolato e vaniglia. Al palato è rotondo, elegante, equilibrato e persistente.
Cantina Grawu
Tra i produttori che conoscevo meno, e che mi hanno sorpreso, c’è questa piccola cantina nata a quattro anni fa a Cermes, vicino Merano. Dominic Würth e sua moglie Leila Grasselli, affiancati dai loro figli, seguono una loro idea di vino, lontana dagli standard locali spesso troppo tecnici e ‘perfetti’. Sperimentano.
– Chardonnay 2017
Scaturito da una doppia vendemmia (una con maggiore acidità e con fermentazione del solo mosto; l’altra con uva matura fermentata fino a metà sulle bucce) assemblata poi in botti di acacia. Affinato sulle fecce per 12 mesi, è un vino strutturato, fresco, elegante e con un sorprendete finale amaricante.
Una menzione speciale la voglio dedicare ad altre aziende i cui vini mi hanno colpito molto. Su tutte, La Busattina (in particolare il Ciliegiolo 2011), Il Roccolo di Monticelli (in particolare il Cinciallegra bianco frizzante), Il Casale Giglioli (di notevole intensità emotiva la verticale di Trebbiano, con annate dal 2004 al 2018), Vi.ni.ca. (per il suo Tintilia Lame del Sorbo 2015), i vini fuori dagli schemi di Maria Bortolotti, la DS Bio di Danilo Scenna, la spagnola Malaparte.
L’appuntamento con il V.A.N. “primaverile” è già fissato al 29/2 e 1/3 del 2020.
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